Outlander,  Ronald D. Moore,  Stagione 1

Il produttore esecutivo Ron Moore sul finale "dark" della Stagione 1

Mentre Outlander si avvia vero la puntata finale della sua prima stagione questo sabato sul canale Starz, è chiaro a tutti che la serie lunge dall’essere il tipico romance in costume. Il nostro eroe Jamie (Sam Heughan) è al momento tenuto prigioniero dal malvagio inglese Jack Randall (Tobias Menzies), e la missione di Claire (Caitriona Balfe) di salvarlo è fallita. L’episodio della scorsa settimana ha mostrato Jack aggredire sia fisicamente che sessualmente Jamie, e l’episodio finale, come i fans di libri già sanno, promette di essere ancora più cupo.

Come ha fatto lo show, che sembrava essere solo incentrato sui viaggi nel tempo ed attraenti uomini in kilt, ad arrivare a questo punto? Richard Lawson, che ha considerato Outlander come la “serie più strana in TV,” ha parlato con lo showrunner Ronald D. Moore sugli ultimi due episodi (niente spoilers però) e in che modo le basi per la tortura di Jamie sono state decise fin dall’inizio della stagione. Hanno anche parlato del finale e cosa aspettarsi nella Stagione 2; Tornate Domenica su Vanity Fair per questa parte della conversazione.

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Ovviamente questi sono episodi piuttosto intensi. C’era un senso di trepidazione o le persone erano, in un modo un po’ strano, desiderosi di affrontare questo materiale davvero difficile?

Ron D. Moore: E’ stato parte della conversazione sulla serie tv fin dal momento in cui abbiamo iniziato la produzione. Come gli attori venivano presi, sapevano già che questo [momento] sarebbe arrivato. E’ stato [trattato] come una transizione lavorativa. Abbiamo dato agli attori ed al regista tempi diversi e separati per provare [le scene], perché volevamo davvero affrontarlo con serietà e dare loro spazio. Mi hanno coinvolto, ad a un certo punto, e discusso di tutte le scene. Abbiamo parlato della coreografia [delle scene], del blocco fisico, e ancora  della coreografia. Molte conversazioni su cosa ogni personaggio vuole e perché e quali sono le loro particolari vulnerabilità o i loro punti di pressione, e di cosa trattasse ogni scena.

In questo modo, quando abbiamo iniziato a filmare, la troupe sapeva già cosa stava succedendo, ovviamente, e hanno dato loro molto spazio. E’ stato un set molto silenzioso. La cella della prigione che abbiamo costruito qui nei nostro studios era molto buia e molto opprimente ed aveva la sua pesantezza. Ti recavi in quella cella e semplicemente lo “sentivi”. Sono state riprese molto difficili a livello emozionale che ti prosciugavano. La persone ne uscivano a fine giornata molto stanche, ma pronte a tornare il giorno dopo. Tutti sono stati molto felici quando abbiamo finito, perché è stata una parte della storia [della serie tv] psicologicamente difficile da filmare e ci ha emotivamente prosciugati.

Quando si cerca di creare una stagione nella sua interezza, come si riesce a navigare questo cambiamento di tono, dagli episodi più leggeri a quelli a cui arriviamo alla fine?

Ron D. Moore: Cerchiamo di bilanciare il tutto fino in fondo, quasi episodio per episodio. Ho ritenuto fosse importante essere corretti con il pubblico e dare indicazioni su dove stessimo andando in modo che non sembrasse arrivare dal nulla. L’episodio 6 è stato un episodio chiave per noi;  è l’episodio in cui Claire è prigioniera di Jack Randall e lui racconta tutta la storia, la fustigazione, attraverso un flashback. E’ un episodio intenso e difficile. Una volta che avete visto l’episodio e avete visto fin dove lo show si spinge, mi sento di aver giocato in modo corretto con voi [spettatori]; non stiamo solamente tirando fuori qualcosa dal nulla. E’ parte della storia.

Questi due uomini, li avete osservati per per tutta la stagione da una certa distanza, ma sapete che qualcosa sta per succedere. Sapete che Jack da la caccia a Jamie. Sapete che Jamie pensa a Jack, perché Claire si ritrova coinvolta con Jack. Tutto conduce a questo e sai che non sarà niente di buono. Stai dicendo al pubblico, in modo sottile, “Questo è dove stiamo andando”. Detto questo, tutta la stagione ruota intorno a molte, molte cose. E’ la storia di Claire, e ci sono molti altri personaggi. Parte della storia è più leggera, mentre un’altra no. C’è Geillis Duncan. Ci sono molte altre sfumature di colori lungo la strada prima di arrivare al finale.

Jack Randall è davvero un bad guy, ma c’è un interessante tenore, soprattutto nella puntata 16, un barlume di qualcosa, c’è un’umanità, nonostante questo suo orribile comportamento. E’ una cosa sulla quale volevi giocare che venisse fuori? [Jack] È solamente il cattivo, o potrebbe esserci, un giorno, una sorta di redenzione per lui?

Ron D. Moore: Ne abbiamo parlato con Tobias fin dall’inizio, che era importante non fosse solo un mostro. Doveva essere un uomo. Incasina  tuttoe fa cose orribili, ma è un uomo. Quando abbiamo realizzato l’episodio 6 è stato interessante raccontare la storia della fustigazione dal suo punto di vista e quello che sentiva attraverso di esso [il racconto]. Anche se alla fine si unisce a quella oscurità, c’è un conflitto interno, c’è la consapevolezza che è un ragazzo veramente incasinato.

[Lui] incolpa gli scozzesi per questo, ovviamente; ha modo di razionalizzare che non si tratta davvero di lui, ma è attraverso il suo punto di vista che sta vedendo il tutto, ed in questo modo quando si arriva alla fine in questi ultimi due episodi, si ha il fondamento di chi questo personaggio sia realmente. Ora stiamo andando verso luoghi più oscuri e più profondi, ma si basano sul presupposto che [Jack] è un essere umano e non solamente il cattivo.

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***Attenzione: Spoilers sul libro #1 e la puntata 1×16 a seguire***

Molte volte nel cinema e nella televisione, abbiamo una storia di stupro che coinvolge una donna, e ovviamente, questo elemento è presente nell’episodio 1×06, ma nella puntata 1×16 fa un ulteriore passo avanti, e questa volta con due uomini. C’era un significato particolare dietro di esso?

Ron D. Moore: Cerco di non pensare troppo a questo aspetto. Ero consapevole che non era qualcosa che di solito si vede. Non è dove conduci il tuo eroe maschile. Puoi minacciare di farlo, ma non arrivi mai a farlo veramente. Come narratore è emozionante, perché ti addentri in luoghi che fanno paura e sono impegnativi. Sai che è presente anche l’aspetto sociopolitico ed è difficile ignorarlo, ma ti sforzi di lasciarlo fuori.

Provi solamente a raccontare la storia di questi due uomini, e chi è Jack, chi è Jamie, cosa vogliono, ed lasciare in disparte il concetto di: “Bene, che cosa stiamo dicendo sullo stupro fra due uomini?”oppure “Cosa stiamo dicendo sull’omosessualità o bisessualità o qualunque sessualità sia Jack? Stiamo dicendo qualcosa al riguardo?” e cerchiamo davvero di non dire nulla, ma solo raccontare la storia, ben sapendo che il pubblico porterà all’attenzione tutto questo. Ne discuteranno e analizzare e lo faranno a pezzi. La gente avrà obiezioni, e altre persone diranno che è fantastico. Accadrà tutto questo una volta che abbiamo finito. Non ci sarà modo di controllarlo.

In generale, è questo l’approccio che si ha quando si lavora ad una serie tv, del tipo, “I fans interpreteranno quello che vorranno”, o ascolti il fandom?

Ron D. Moore: Eviti [se possibile] di leggere i siti dei fans ed i loro commenti per sapere che ne pensano. Li leggi perché è difficile non farlo quando ti ritrovi tipo, “Hey, l’episodio era in onda ieri sera, che cosa stanno dicendo a questo proposito?” Sei sempre curioso di vedere quello che stanno dicendo. Questa è la mia filosofia da Star Trek e Battlestar Galactica. Dovi essere disposto ad avere il fandom che odia quello che stai facendo o che lo ama, ed non deve importartene di nessuno dei due in un certo senso, perché non puoi diventare schiavo delle loro emozioni o del loro consenso. Non è una democrazia, come sono sempre solito dire.

Ci saranno persone che non guarderanno mai più la serie dopo di questo, e ci saranno persone che invece penseranno che sia la più grande serie tv mai fatta. Nessuna delle due reazione è davvero quello che vuoi. Vuoi solo vedere un pubblico. Avranno le loro reazioni, qualunque essae siano, ma cerchi di non lasciarti trascinare in tutto questo. Tuttavia, stai adattando un libro che significa molto per tanta gente, e il mio obiettivo fin dall’inizio è stato quello di cercare di dare loro una buona versione del loro libro, una [versione] che avrebbero potuto accettare. Voglio che gli piaccia, voglio che i fans si divertano , voglio che i fans festeggino, perché questo libro è stato speciale per loro. E’ quel genere di libro che si trova sulla loro libreria e che hanno letto mille volte.

Nella stanza degli scrittori, com’è stato diviso, in termini di persone, coloro che hanno familiarità con i libri o coloro che non ce l’hanno? È una divisione netta o più o meno tutti hanno dovuto leggere il libro al fine di ottenere il lavoro?

Ron D. Moore: Sì, tutti hanno dovuto leggere il libro, ma ho iniziato con metà e metà dello staff, dove c’erano persone che avevano familiarità con i libri e persone che li stavano leggendo per la prima volta, perché volevo quel tipo di spartizione dove c’erano persone che conoscevano il materiale così bene e avevano letto i libri molte volte, e altri che si stavano avvicinando solo adesso, un po’ come il pubblico che si sarebbe avvicinato come da nuovo.

Immagino volessi anche persone che non erano così pretenzione su questo o quell’aspetto.

Ron D. Moore: Sì, esattamente. Vuoi che ci sia quel genere di dibattito. “Beh, la ragione per cui ti piace quella scena è perché sei un fan, o ti piace quella scena perché è importante?” Allo stesso tempo vuoi anche discutere tipo “Ehi, mettiamo questo nello show,” e qualcun altro dirà “Beh, lo inserisci nello show solo per aggiungere qualcosa, ma non fa parte della storia. Stai solo aggiungendo qualcosa per tuo piacere personale”. Vuoi costantemente questo genere di discussioni per aiutare me, lo showrunner, a concentrarsi su “Ok, qual è la storia? Cos’è importante, e che cosa posso cambiare?”

L’episodio finale della stagione 1 di Outlander va in onda sabato 30 maggio sul canale americano Starz.

Vanity Fair

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